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Falcone Borsellino, non in loro nome

Il professionismo dell’antimafia non è una sulfurea suggestione partorita dalla mente acuta di Leonardo Sciascia, ma è una pratica quotidiana sempre più frequente da quando i magistrati simbolo della «vera» lotta alla mafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sono stati assassinati con le rispettive scorte. Ma come si fa, concretamente, antimafia di facciata? Come si fa a mostrarsi «contro», fino ad avere quasi il monopolio della «antimafia», per perseguire e ottenere l’obiettivo esattamente opposto, e cioè che tutto rimanga com’è?

Facciamo un esempio. Quello del rottame dell’auto QS15 (il nome in codice, Quarto Savona 15, dell’auto sulla quale viaggiava Falcone, saltata in aria il 23 maggio 1992 a Capaci). Su iniziativa di Tina Montinaro, vedova di uno dei poliziotti rimasti uccisi a Capaci, e dell’associazione QS15, da qualche tempo una teca con ciò che resta di quell’auto gira per le piazze d’Italia, per tener viva la memoria della strage e far discutere di mafia. Una buona idea, «benedetta» anche dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, quando la teca giunse a Palermo. Senonché, con il passare del tempo, e al di là delle intenzioni dei promotori, l’esposizione della QS15 con annessi incontri pubblici (soprattutto nelle scuole) è diventata sempre più l’occasione e il pretesto per passerelle e fiacche celebrazioni istituzionali o, peggio, per tavole rotonde organizzate e sponsorizzate da imprese al centro di discutibili condotte molto poco antimafiose e altrettanto poco legalitarie.

Ad Altamura, Puglia, per la serie «La mafia ieri e oggi», l’esposizione dell’auto e la tavola rotonda sono state sponsorizzate da due grosse imprese. La prima, ramo costruzioni, ha pagato senza batter ciglio 180 mila euro di mazzette alla cosca calabrese dei De Stefano per lavori al Museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria. Una estorsione, certo, ma quella impresa ha ammesso i pagamenti solo grazie alle rivelazioni di un pentito, altrimenti non se ne sarebbe mai saputo nulla, e non si è nemmeno costituita parte civile nel processo. Cosa dirà durante la tavola rotonda l’amministratore unico di questa spa, «denunciate chi esige il pizzo»? L’altra impresa sponsorizzatrice produce pane industriale (anche buono), peccato solo che lo commercializzi come «pane fresco» e, fino a poco tempo fa, anche come «pane dop». Cosa dirà sulla «legalità» l’amministratore delegato di quest’altra spa, «il rispetto delle leggi è fondamentale»?

Ma il bello, o il brutto, è che a questi incontri partecipino anche magistrati, questori, militari, politici, preti, «giornalisti», tutti insieme appassionatamente e tutti «ignari» dello stato delle cose. Viene in mente il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: «Se ci vado e non so chi c’è, è una cosa. Ma se lo so e ci vado lo stesso, è tutt’altra cosa». Ecco, cosa diranno costoro attorno al tavolo rotondo, che «la legge è uguale per tutti»? Ci sono voluti 45 anni per scoprire gli esecutori dell’assassinio di Piersanti Mattarella e ne sono trascorsi 33 dalle stragi di Capaci e di Via D’Amelio. Quanto tempo ancora ci vorrà affinché le facce di bronzo e i sepolcri imbiancati cessino di lucrare in nome e sulle spalle degli eroi civili di questo Paese? 

di Carlo Vulpio da https://carlovulpio.wordpress.com/